giovedì 29 settembre 2011

Legge bavaglio o bavaglino?


La protervia è tanta, l'istinto predatorio antidemocratico fortissimo e sempre famelico. La volontà di zittire, di incaprettare l'informazione, di sciogliere nell'acido il dissenso li porta a concepire e riproporre costantemente i loro ukasetti liberticidi come degli zar fuori tempo storico massimo e la Rete giustamente si mobilita e sta al loro gioco, facendosene terrorizzare. 
Peccato che, come al solito, legiferino ad minchiam. Leggete il parere del legale sul famigerato DDL con il comma anti-blog. Forse li stiamo prendendo troppo sul serio? No, domando.

martedì 27 settembre 2011

Roma trema: la polizia vuole giustizia



Riprendo dal blog di Beppe Grillo questa intervista a Franco Maccari, segretario generale del Sindacato di Polizia COISP perché è molto interessante come testimonianza del malessere delle forze dell'ordine nei confronti del governo del (dire di) fare.
Maccari non rivendica solo la provocazione di qualche giorno fa dei "lacrimogeni sparati dentro il ristorante del Senato" chiedendosi giustamente se, beccandoselo i politici il gas CS, non potrebbe venir fuori tra l'altro e finalmente la verità sulla sua pericolosità ma denuncia  le promesse mancate del "governo delle dichiarazioni" sull'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini.

Con questo governo degli onesti tutto sembra fatto apposta per impedire alle forze dell'ordine di fare il loro mestiere di perseguire e contrastare la criminalità. Tutto serve allo scopo, perfino tagliare del 10% il cibo per i cani poliziotto.
Maccari denuncia come si continui, ad esempio, ad impegnare personale nel rilascio dei passaporti. Con le automobili della polizia a secco per la mancanza di benzina a causa dei tagli, il governo avallava poi la buffonata legaiola delle ronde, con gli agenti obbligati a lasciar perdere i delinquenti per scortare manipoli di esaltati giustizieri della notte ad evitare che la notte facesse loro del male.
C'è anche la frustrazione di chi passa le giornate al computer indagando pazientemente nello schifoso mondo della pedopornografia e poi si sente dire da un ministro di questa Repubblica che è un panzone fannullone o un coglione.
Ma ancora, ai poliziotti girano vorticosamente i Maroni per le scorte di polizia alle escort presidenziali. Il porco utilizzo, come dice Maccari, delle auto blu.
E' insomma una testimonianza importante, di quelle che nessun Minzolini ti farebbe mai ascoltare.
In un mondo dove è diventato normale che suoni a distesa solo la campana dei ladri, almeno per una volta parlano le guardie.

lunedì 26 settembre 2011

martedì 20 settembre 2011

Il deserto dei Tarantini


"L’esistenza di Drogo invece si era come fermata. La stessa giornata, con le identiche cose, si era ripetuta centinaia di volte senza fare un passo innanzi. Il fiume del tempo passava sopra la fortezza, screpolava le mura, trascinava in basso polvere e frammenti di pietra, limava gli scalinie le catene, ma su Drogo passava invano; non era ancora riuscito ad agganciarlo nella sua fuga." 
(Dino Buzzati, "Il deserto dei Tartari")

Viviamo asserragliati nella fortezza Italia, con viveri ormai razionati, completamente paralizzati nell'attesa di qualcosa, una guerra, una catastrofe, un'invasione, un colpo di gong gigantesco che ci svegli e dia un senso alla nostra esistenza e ci redima all'ultimo istante dal peccato dell'incapacità di reagire a questa tetraplegia mentale che ci impedisce perfino di immaginare una realtà diversa da questo orrore. Paralizzati come nei sogni più angosciosi, con le gambe che vorremmo muovere ma non possiamo.
Campiamo per inerzia, ci crogioliamo del non saper che fare, senza più alcuna dignità di popolo da rivendicare nel giorno del giudizio. Il nemico è laggiù, lontano, il default forse arriverà e dovremo combattere per difenderci ma qualcuno comincia a pensare che il default, come i Tartari di Buzzati, sia solo una metafora. Troppa fatica pensare di combattere. Sdraiamoci e che abbiano pietà di noi.
Non c'è alcun fremito, alcuna timida speranza di rovesciare il destino. Non c'è resistenza, ribellione, orgoglio ferito, volontà di riscossa. l'Italia è un immenso lazzaretto popolato di malati di impotenza che attendono solo la fine. 
Guardarli sapendo di stare guardando noi stessi è una sensazione orribile.

lunedì 12 settembre 2011

Un'offerta che non poté rifiutare


Perfino Gianni Letta e Fidel Confalonieri gli avrebbero suggerito di farsi da parte. Quando si dice gli amorevoli consigli degli amici.
Dovrebbe seguirli, prima che arrivino quelli degli amici degli amici.

Messaggi subliminali


Ieri, nell'insopportabile retorica dello Zebe-Day è successa una cosa strana, ma forse fino ad un certo punto. Nella telecronaca del TG1 da Ground Zero l'inviato Molinari ha detto che chi sostiene tesi "complottiste" sui fatti dell'11 settembre è non solo antiamericano ma antisemita. 
Poi ho cambiato canale e non ho seguito il resto perché dieci minuti di TG1 con le poltrone ripiene di opinionisti embedded, di Monica Maggioni con la sua penna a mezz'aria e le sopracciglia aggrottate d'ordinanza  sono equivalenti ad una respirata a pieni polmoni all'interno del reattore 3 di Fukushima e sono bastati per farmi venire un atroce mal di testa che mi perseguita anche oggi. Mi sono persa quindi il Trota Bush scongelato per l'occasione, l'Obama dell'America più forte - ma con le pezze al culo - e il solito protagonismo di chi è abituato a rubare la scena al morto ai funerali. Povere vittime, poveri parenti, ancora troppo annebbiati dal lutto per non vedere lo schifo di queste pantomime e reagire di conseguenza.

Antiamericani e antisemiti, quindi. Credevo fosse un caso isolato, un'opinione solitaria, ma nel TG serale di Mentana si è ripetuto il fenomeno. L'inviato da New York ha ribadito il concetto: "Chi sostiene tesi complottiste è non solo antiamericano ma antisemita." Ohibò, allora è uno slogan e gli slogan nascondono sempre la propaganda. Non ho visto gli altri telecinegiornali Luce ma scommetterei che anche loro hanno detto la stessa cosa, hanno ripetuto il mantra intimidatorio.

Qualcuno cerca di ricattarci moralmente con lo spauracchio dell'antisemitismo in un argomento dove, fino a prova contraria, gli ebrei non c'entrano, visto che l'11 settembre non fu l'attacco ad una sinagoga o ad un obiettivo israeliano ma ad un complesso commerciale e residenziale negli Stati Uniti dove morirono protestanti, ebrei, cattolici, musulmani, atei, induisti, americani, stranieri, bianchi, neri, ecc. Un perfetto campione del melting pot newyorchese, insomma.
Che c'entra quindi l'antisemitismo? Perché, mentre non ci stavi neppure pensando, cominci a sentire delle galline strepitare come se avessero fatto un uovo gigante rompiculo? 
Non l'ho fatto apposta ma, per la serie "guarda che ti combina l'effetto boomerang", dopo aver sentito quello slogan, chissà per quale contorsione mentale, mi sono ricordata questa frase attribuita a Netanyahu nel 2008 e riportata da Haaretz e da altri giornali israeliani:
"Stiamo traendo beneficio da una cosa, dall'attacco alle Twin Towers e al Pentagono e dalla guerra americana in Iraq. Questi eventi hanno portato l'opinione pubblica americana dalla parte di Israele."
Una frase molto simile a quella che aveva pronunciato appena ventiquattro ore dopo l'attentato al WTC, come riportato allora dal New York Times. 

Oddìo, allora è vero che siamo antisemiti?

sabato 10 settembre 2011

Il dubbio di Gubbio


Ci sono date che la storia rende per sempre punti di riferimento per la memoria condivisa. L'8 settembre, il 4 luglio, il 14 luglio, il 25 aprile, ecc. Sono date che hanno segnato le liberazioni dalle dittature, lo scoppio delle rivoluzioni, la fine delle guerre. Eventi positivi che li rendono giorni di festa, di celebrazione, di gioia.
Poi ci sono date che fanno paura, perché hanno segnato la nostra vita e la collettività con morte e distruzione: il 2 agosto, il 12 dicembre, il 6 agosto. Date di bombe, ad esempio. 
La data che fa più paura in assoluto è l'11 settembre. Fa paura non solo per ciò che ricorda, un'incredibile concatenazione di eventi che portò alla morte in diretta di 2948 persone nel crollo delle Twin Towers e di molte decine di altre persone a bordo degli aerei coinvolti negli attentati.
L'11 settembre fa paura perché qualcuno ha deciso che diventasse la data più spaventosa, il ricordo più angosciante anche a distanza di questi dieci anni; rappresentante una minaccia che ancora ci perseguita e della quale dobbiamo essere terrorizzati. Un terrore che non deve essere limitato all'America ma a tutto il mondo.
Starete tutti pensando a Bin Laden e ad Al Qaeda, al terrorismo islamico, all'Eurabia ed è normale, questa è la reazione che si voleva ottenere. Peccato che la realtà dell'11 settembre, quella dei burattinai che muovono i pupi saraceni in turbante e scimitarra, sia molto diversa e, se possibile, ancora più spaventosa.

Sulla tragedia di quel giorno ci sarebbero ancora mille cose da domandarsi, da discutere, da indagare. Tanti dubbi da sciogliere non negando il diritto di domandare ma sforzandosi di rispondere ai quesiti.
Invece i giornali, non sapendo e non volendo (o forse non potendo) parlare di cosa è stato veramente l'11 settembre, lavorano di phon e spazzola con il giochino "Dove eravate quel giorno?" La fuffa al posto dei fatti.

Va bene, giochiamo. L'11 settembre ero a Gubbio, per una vacanza in Umbria. Non vidi nulla in televisione, niente in diretta, in quel primo pomeriggio. Seguii gli eventi più tardi per radio. La prima sensazione che ebbi, ascoltando il resoconto degli avvenimenti, fu di falso, di cosa fabbricata ad arte. Sembrava seguissero una traccia, un copione, come nella celeberrima radiocronaca della "Guerra dei Mondi". Una cosa per fare paura, per terrorizzare. Si, pensai ad Orson Welles e mi venne un dubbio.
Il secondo dubbio mi venne ascoltando il cronista che raccontava, poche ore dopo, alle diciannove, che erano addirittura stati rinvenuti i passaporti degli attentatori e che il capo di costoro si chiamava Mohammed Atta. Avevano già il colpevole e le prove. Troppo facile.
Le immagini, quelle degli aerei che si infilano come nel burro nelle torri e che ci sarebbero state riproposte fino alla nausea durante la Cura Ludovico dei mesi successivi, le vidi per la prima volta nel TG di quella sera e poi nel "Porta a Porta" di Vespa, del quale ricordo soprattutto la sparata dei "ventimila morti all'interno delle torri". 
La mia sorprendente conclusione di quel primo impatto con l'11 settembre e la sua mitologia fu la convinzione che  in America quel giorno vi fosse stato un golpe, un colpo di stato. Una conclusione che ovviamente mi faceva guardare come una specie di coso strano da parte di coloro che, sicuramente in buona fede, si erano bevuti fino all'ultima goccia una versione ufficiale assolutamente incredibile fin dal primo istante senza osare discuterla.
Io non ho cambiato idea e per fortuna in questi dieci anni i dubbi sono venuti a tanti, a sempre più persone, e sono state dimostrate molte cose che quei dubbi li rafforzano invece di cancellarli. Vediamone qualcuna.

Quel giorno tutte le difese aeree degli Stati Uniti, normalmente attentissime anche al più piccolo ultraleggero che vada fuori rotta, erano state azzerate, non si è mai saputo perché. C'era anche un'esercitazione militare che avrebbe simulato dei dirottamenti aerei. (!) Di conseguenza, quattro aerei poterono essere dirottati senza che alcun intercettore si alzasse in volo. Il Pentagono poté essere colpito (da un missile, perché la storia dell'aereo è troppo grossa anche per i bambini piccoli) senza che nessuno battesse ciglio. Il cuore del potere militare americano, mica una pizzeria a Broccolino.

Quel giorno il presidente George W. Bush si trovava in visita in una scuola elementare in Florida. Le immagini lo mostrano che riceve la notizia del primo attacco ma rimane lì a cazzeggiare con i bambini fino alla fine della visita. Poi fa una breve dichiarazione, si confonde dicendo di aver visto il primo aereo colpire il WTC (immagini che sarebbero state rese note solo in seguito) e se ne va, rimanendo in volo sull'Air Force One tutto il giorno. Finalmente alla Casa Bianca, quella sera, lui e lo staff presidenziale cominciarono ad assumere il "Cipro", un farmaco che, oltre a combattere le infezioni urinarie, è un antidoto contro l'antrace. Tenete a mente questa parola per dopo: antrace.

Quel giorno, dopo che le torri furono colpite, ci sarebbe stato tutto il tempo per evacuarle quasi completamente. Invece, al personale degli uffici fu detto di tornare al lavoro, che non sarebbe successo nulla e di stare tranquilli. Come sappiamo, i sacerdoti della versione ufficiale sostengono che le torri erano talmente delicate di struttura che è bastata la vampa del fuoco del carburante degli aerei per polverizzarle completamente. Perché quindi i civili e i pompieri di New York furono, a questo punto consapevolmente, mandati a morire in strutture prossime al collasso, è una bella domanda da rivolgere ai debunkers ed ai loro simpatizzanti.

Quel giorno John O'Neill, un agente dell'F.B.I. estromesso dal suo incarico all'antiterrorismo a causa dell'ostracismo dell'ambasciatrice americana Barbara Bodine mentre era in procinto di sbaragliare la cellula di Al Qaeda in Yemen - proprio quella che si è ritenuta in seguito conivolta nell'11 settembre -  prendeva servizio come capo della sicurezza al WTC, incarico trovatogli dal suo capo all'F.B.I. Morirà nel crollo della Torre Nord. La Bodine, in seguito, sarà nominata governatrice dell'Iraq occupato. 

Pochi giorni dopo l'11 settembre, ai primi di ottobre, una mano misteriosa invia lettere all'antrace ai senatori democratici che in quei giorni stavano temporeggiando per evitare che fosse approvata in tutta fretta e senza l'adeguata discussione parlamentare una legge fortemente restrittiva delle libertà personali di tutti gli americani, il Patriot Act. La crisi dell'antrace, che fece quattro morti tra coloro che avevano maneggiato le lettere contaminate, ufficialmente non è mai stata spiegata, né sono stati individuati i colpevoli. Ricorderete però che il personale della Casa Bianca fu sottoposto fin dalla sera dell'11 settembre alla terapia d'antidoto per l'infezione da antrace. 

Ricapitolando. C'è un gruppo di potere politico, economico e militare considerato di estrema destra ma con strane radici trotzkiste, che identifichiamo con la sigla neocon, e il cui manifesto è il  "Progetto per un nuovo secolo americano", una specie di piano di rinascita piduista che contiene già nel 1999 tutta l'agenda delle guerre a venire: Iraq e Afghanistan in prima fila. Il piano di espansione imperiale auspicato dai neocon sarà di difficile esecuzione "se non avverrà un evento catalizzatore, una nuova Pearl Harbor che possa accelerarne i tempi", come si legge nel manifesto.  Ovviamente i neocon sono l'ultima mutazione del vecchio Complesso Militare Industriale, forse la più agguerrita.
I neocon prendono il potere negli Stati Uniti grazie ad elezioni truccate nel 2000, eleggendo una specie di "Trota" della famiglia Bush, George Dubya, un individuo che è riuscito a fallire come petroliere venendo da una famiglia di petrolieri del Texas ed avendo un padre ex presidente degli Stati Uniti ed ex capo della CIA.
Gli americani sanno che Dubya è un usurpatore che ha vinto lo scudetto a tavolino, all'inauguration gli tirano i pomodori ma nel settembre del 2001, il giorno 11, accade qualcosa che metterà tutte le contestazioni a tacere. 
Un gruppo di terroristi islamici ruba quattro aerei e si lancia contro il WTC e il Pentagono, mettendo in ginocchio l'America. Al Qaeda e Osama Bin Laden sono i nuovi spauracchi del terrorismo globale. Brutti, arabi e cattivi. Questo è ciò che ci raccontano i neocon con i loro media addomesticati mentre disinseriscono le difese militari aeree, deportano il TrotaBush in Florida ad evitare che faccia danni e piazzano tutte le telecamere possibili puntate sul WTC affinché lo shock in diretta scuota tutto il mondo. 
Quando la democrazia americana si mette di mezzo osteggiando leggi che invece di perseguire i terroristi islamici, chissà perché, limitano fortemente le libertà personali degli americani, spargono un po' di polverina magica, et voilà: i democratici firmano il Patriot Act più veloci di Napolitano.
Di lì a poco i neocon avranno tutte le loro guerre, anche grazie a qualche attentato di rinforzo a Londra e Madrid della famigerata e fantomatica Al Qaeda. L'Afghanistan e poi l'Iraq. Saddam appeso alla corda e migliaia di morti, soprattutto civili. Comprese quelle migliaia di ragazzi americani morti o devastati nel fisico e nella mente. Uccisi da immondi guerrafondai.

A dieci anni dall'11 settembre, il terrorismo islamico e la relativa "guerra al" sono dispersi in chissà quale romanzo di spionaggio, sostituiti dal terrorismo della Crisi Economica e dalle battaglie a colpi di titoli tossici e derivati. 
Probabilmente sono sempre gli stessi burattinai di allora che hanno cambiato metodo e gioco da tavolo. Hanno cambiato anche presidente, ma si sa che i presidenti passano, e loro restano.
E'  la dittatura della shock economy che occupa i paesi non con le divisioni corazzate ma con le agenzie di rating, crea scompigli e disastri, sventolando il terrore più grande, quello della retrocessione nella miseria.
Osama, visto che non serviva più, è morto due volte, la prima volta di malattia e la seconda in una delle fiction belliche che hanno sostituito le guerre. 
Le guerre ora si combattono  su due livelli: nel primo con i morti e le armi. Nel secondo livello, che è quello che fa notizia e che giunge alle nostre orecchie, con la propaganda. Chi vince lo decide lo sceneggiatore. E così le rivolte, le rivoluzioni, i cambi di regime, come il Risiko che si sta giocando in Medio Oriente.  Gheddafi, lo zio di Ruby, la Tunisia, la Siria, Gaza.
La guerra e l'economia come affabulazioni, come illusioni del mago Copperfield. Sembra una cosa, la TV te la mostra come se fosse, ma invece la realtà è un'altra.  Dopo l'11  settembre e le sue torri che crollano come fossero di pan di spagna perché l'ha detto il governo possiamo credere tutto, anzi dobbiamo, se no saranno botte e leggi speciali. Il dubbio è dei pazzi o di chi ci vede troppo bene.


domenica 4 settembre 2011

Fatti di gente perbene



«È una vicenda dolorosa, ma è anche l'occasione per fare una riflessione ulteriore non solo sul nostro diverso modo di procedere rispetto alla maggioranza, fatto di fiducia nella magistratura, passi indietro, uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma anche sul fatto che dobbiamo mettere ogni impegno nel migliorare l’esigibilità dei nostri codici etici e del nostro Statuto. E ci stiamo lavorando. Ma la nostra gente ci chiede anche di reagire a teorie che vanno oltre le legittime critiche, e che descrivono il Pd come un corpo malato. Abbiamo fatto partire un po’ di denunce. Né accettiamo che si faccia di tutta l'erba un fascio e che si indebolisca per questa via l'unico strumento che gli italiani hanno per il cambiamento». (P. Bersani, intervista all'Unità, 3 settembre 2011.)

C'è tutto Bersani e tutta la weltanschauung piddina in questo ragionamento. La pretesa della diversità per se e quasi come dogma, la riflessione - che si porta su tutto - e lo "stare lavorando" al posto del prendere un'iniziativa, dell'azione, del fare delle scelte; il farsi scudo dei militanti che "ci chiedono di reagire" e la dichiarazione finale, insopportabilmente ricattatoria, di autoinsostituibilità di una classe dirigente, l'ineluttabilità del cambiamento che può solo passare attraverso di essa o sul suo cadavere. Après nous le dèluge. Come B. che pensa di essere eterno.

Per Bersani, che il capo della sua segreteria politica dal 2009 Filippo Penati sia indagato per corruzione e finanziamento illecito al partito per vicende spalmatesi negli ultimi dieci anni è solo una "vicenda dolorosa". Aggettivo che sarebbe congruo solo se si trattasse di uno sciagurato che si è arricchito alle spalle del partito ingannando cani e porci, compreso il suo segretario, ma che è assolutamente inadeguato se per caso la corruzione era parte di un sistema, di un modo per tenersi buoni gli uni gli altri tra imprenditori, politici e partiti al fine di avvantaggiarsene reciprocamente, con Penati a quel punto solo pedina fra le tante sulla scacchiera.

Sono tutti fatti da dimostrare in sede giudiziaria, è ovvio, però il sospetto è brutto e, più che di macchina del fango, ho paura che si tratti di cannoni sparaneve caricati a merda.
Per questo ci vorrebbe meno indecisione nel rendere conto di fatti precisi. Meno supponenza da "noi siamo diversi" e tendenza al risentimento quando qualcuno fa giustamente delle critiche. Invece Bersani continua solo ad incazzarsi, a fare il piangina e a minacciare querele invece di rispondere alle domande. Come il suo gemello settembrino in fondotinta. Sarà colpa del sole in Bilancia.

Basterebbe intanto che Bersani ci rassicurasse sullo scambio di telefonate - testimoniate da intercettazioni pubblicate fin dal 2006 -  tra lui, il gruppo Gavio e Penati.
Tutta la storia dell'affare Milano Serravalle è raccontata da Gianni Barbacetto in un libro del 2007, ma diciamo solo come si è conclusa: nel 2004 la Provincia di Milano guidata da Penati  acquisisce il 15% delle quote di proprietà del Gruppo di Marcellino Gavio della Milano-Serravalle, pagandole quasi quattro volte oltre il loro valore. Una cifra enorme, 238.000.000 di euro di denaro pubblico, contenenti quindi una plusvalenza per il venditore di € 179.000.000. Un amministratore pubblico che fa questi regali ai privati non pare molto auspicabile ma ciò che incuriosisce i magistrati è ciò che accade dopo. Nel 2005 Gavio partecipa a fianco di Consorte (Unipol) alla scalata di BNL, con una quota di € 50.000.000. Non sarà che quella partecipazione è un ringraziamento, un modo per sdebitarsi con il partito per l'affarone fatto con la Serravalle?

Si dirà, sono tutte maldicenze del centrodestra che aveva osteggiato l'affare nelle persone di Ombretta Colli e Gabriele Albertini. Sarà, tuttavia l'intermediario di Gavio è tale Binasco, nientemeno che colui che inguaiò Primo Greganti e il PCI nel corso delle indagini di Tangentopoli, e che videro alla fine dei relativi processi condannati sia il concusso che il concussore.
Un personaggio al quale un dirigente DS, visti i trascorsi tangentopolitani dell'interlocutore, non avrebbe dovuto nemmeno rivolgere la parola per paura di inguaiare di nuovo il partito.
Ecco, il punto è che Gavio ha bisogno di parlare con Penati per sbloccare l'affare Serravalle e telefona invece a Bersani il quale gli risponde che può parlare direttamente con Penati. Qualche giorno dopo Penati telefona a Gavio:
Penati: «Buon giorno, mi ha dato il suo numero l'onorevole Bersani...».
Gavio: «Sì, volevo fare due chiacchiere con lei quando era possibile...».
Penati: «Guardi, non so... Beviamo un caffè».

Gavio non poteva telefonare direttamente a Penati in Provincia? In ogni caso l'effetto "mi manda Bersani", sarà un'illusione ottica ma è abbastanza evidente e meriterebbe una spiegazione da parte dell'interessato. Visto oltretutto che Penati fa carriera fino a diventare, nel 2009, capo della sua segreteria politica.

Ora, il problema di fronte a queste ombre ed insinuazioni sull'illibatezza del PD - e prima dei DS - sulla base di pesanti indizi, sono i militanti piddini, che non vogliono sentir parlare di questi fatti, si mettono le mani sulle orecchie facendo bla-bla-bla e reagiscono dicendo che Di Caterina e Pasini, gli accusatori di Penati, sono vicini al centrodestra, quindi non attendibili. Che tutte le maldicenze sulla vicenda Milano Serravalle sono una vendetta di Ombretta Colli. Che Bersani non deve rendere conto di alcunché a Sallusti che grufola nello scandalo scrivendo paginate e paginate sull'affaire Penati. E soprattutto, che parlare di queste cose è il solito autolesionismo tafazziano della sinistra e che in questi momenti bisogna essere uniti e che questa è antipolitica.

Vedete, amici, se Sallusti grufola è perché gli se ne dà modo.
Non si può nascondere la testa sotto la sabbia e negare a priori che possa esistere e non da oggi un sistema di gestione degli affari da parte della sinistra che assomiglia molto a quello della destra. 
Ho l'impressione che, siccome la vittoria alle prossime elezioni pare probabile, visto il disastro berlusconiano, i piddini intesi come base non abbiano alcuna voglia di rifondarsi, dandosi finalmente una dirigenza nuova in vista della Terza Repubblica ma siano disposti a tenersi questa, anche se chiacchierata e più logora di un calzino bucato. Con i Bersani lanciaquerele, i D'Alema - e dicendo D'Alema si è già detto tutto, i Fassino abbiamo-una-banca e i Letta abbiamo-un-banchiere.*  Più le varie beghine che vorrebbero trasformare il Partito Democratico in Partito Democristiano.
I fans del PD sono talmente attaccati alla vecchia dirigenza che non riescono ad immaginarne un ricambio. In questi casi ti chiedono: "E chi ci mettiamo al posto di Bersani?" come se stessimo parlando di un Berlinguer. Renzi no, per carità, Ciwati nemmeno - i rottamatori, muhahaha!, Zingaretti - uhm si farà ma per ora lasciamolo dov'è, meglio Bersani; la Serracchiani - troppo inesperta povera cocca, meglio Bersani.
E' così importante fare un nome piuttosto che un altro se l'unico che accetteranno mai è il segretario del partito perché pensano ancora che bisogna votare chi dice il partito? Non dite che non è così. Meno male che gli elettori di sinistra invece cominciano ad essere più autonomi nelle scelte e sempre più sovente eleggono nomi che non erano quelli designati dalla segreteria del PD. Vedi Pisapia e Zedda.

L'immobilismo, la tetraparesi da centralismo democratico di questo partito di mummie che credono di essere ancora vive, contagia anche la base,  che accetta tutto purché si vinca e si torni al governo. Non per mandar via Berlusconi, ma per mettersi al suo posto. Cambiar gestione ad un ristorante purché serva sempre le stesse polpette avvelenate. Polpette che mangiano tutti e che finiscono anche nei nostri piatti.
Non è qualunquismo ma più di un sospetto che possa trattarsi di una triste realtà. Pensare che un partito possa aver vissuto in un paese con la corruzione al posto del DNA senza farsi corrompere con fenomenali incentivi come potere e denaro è un ragionamento molto ingenuo. E' come quando uno viene morsicato dal vampiro, si vampirizza anche lui.
Detto questo, io mi auguro di cuore che Penati abbia solo fatto la cresta come le colf disoneste che vanno a far la spesa all'Esselunga con il borsellino della padrona, e che Bersani e il PD siano puri siccome angeli, perché sentire gli sfottò e le prediche di Sallusti e di tutta la merda stampata e televisiva berlusconiana mi sarebbe ancora una volta, dopo la Commissione Mitrokhin, intollerabile.

Una preghiera, però, amici del PD. Se dovessero emergere responsabilità precise della dirigenza PD negli episodi di corruzione attualmente sotto indagine della magistratura, se venisse dimostrato il finanziamento illecito, non voglio sentire lagne che "noi siamo diversi" e "bisogna distinguere". Se avete le palle dovete andare da Bersani e dirgli di levarsi dai coglioni e con lui tutti gli altri residuati bellici del partito sopravvissuti dalla prima repubblica. Anche se lì per lì non saprete chi mettere al loro posto.
Se vogliamo veramente cambiare e salvare questo paese dal cancro della corruzione, questa volta, a differenza degli anni novanta, non dovremo avere nessuna pietà. Tanto meno per quelli della nostra parte.

Ho paura però che gli elettori e simpatizzanti del PD siano come certi mariti innamorati ai quali portano le fotografie della moglie in atteggiamento inequivocabile con un altro e loro rispondono: "Non è possibile, lei non farebbe mai una cosa simile e poi questa qui nelle foto non è lei."

* grazie Gianguido.

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