lunedì 31 ottobre 2016

300 abitanti 60 migranti



La politica onunista di infiltrare le piccole comunità omogenee ed identitarie d'Europa con iniezioni quotidiane non richieste di giovanottoni africani prosegue e il video, diviso in otto parti, che vi presento stasera, dimostra come ognuna delle nostre nazioni stia condividendo il medesimo esperimento di ingegneria sociale innestato nella strategia della tensione e sempre con le medesime modalità, in Francia come in Italia, in Svezia come in Germania e altrove.
Vi presento quindi il lavoro di Edouard Frémy, che si definisce giornalista indipendente e che ha pubblicato su Youtube questa sua inchiesta autoprodotta. I video sono in francese e sempre in francese sottotitolati, perciò fate come ho fatto io, che il francese lo capisco grazie ad alcune misteriose vie del Signore: arrangiatevi.

La Chapelle-sur-Vire è un paesino di 300 anime, come dicono le persone perbene, situato in Normandia. Un'oasi di pace e lo vedrete anche dalle immagini. Poco lontano vi è un albergo, il "Miramar", dal quale si vede, come una strisciolina grigia all'orizzonte, la costa dell'Inghilterra (video 5).
Edouard vive lì e ha deciso di documentare la reazione del suo paese alla notizia, inattesa e calata dall'alto, dell'arrivo imminente di 60 "migranti" da accogliere in una struttura locale e provenienti dallo smantellamento della Giungla di Calais, deciso nei giorni scorsi dal governo francese. 
Come si evince dal primo video, nessuno ha chiesto l'opinione degli abitanti, nessuna autorità ha permesso che i medesimi potessero discutere democraticamente di una questione che riguardava la loro vita quotidiana. Un prefetto ha ordinato, un sindaco ha recepito l'ordinanza e l'incontro di alcuni rappresentanti le istituzioni con i cittadini si chiude sul seguente principio: "in consiglio comunale potete ascoltare ma non prendere la parola". 
Si è infatti costituito un gruppo di protesta che ha affisso alcuni cartelli in paese: "No ai migranti" e che ha iniziato una protesta che, via via che passano le ore nell'attesa degli "ospiti" diventa sempre più forte, fino alla formazione di un picchetto all'ingresso della struttura di accoglienza, con fuochi e mucchi di letame ad ostruirne l'accesso. 
Più avanti nel video scopriamo che in paese vi sono però anche persone favorevoli all'arrivo dei migranti e  che stanno organizzando una manifestazione contrapposta. I due gruppi si fronteggiano di fronte alla bella chiesa locale. Quelli del No supportati da un gruppo locale del Front National, al canto della Marsigliese, e quelli a favore del Si, soprattutto giovani e donne (!) a gridare i soliti slogan no borders, no frontiers, siamo tutti migranti, ecc.

La protesta però dura poco. Gli impegni di lavoro, pressanti anche in un paesino dove apparentemente non sembrerebbe esserci granché da fare, richiedono che si smontino le barricate, si spengano i fuochi e si ripulisca la strada. Un risultato però è stato ottenuto. Non più gli originari sessanta ma solo quindici migranti saranno assegnati a Chapelle-sur-Vire.
Quando questi finalmente arrivano (video 7), si tratta di 14 sudanesi e 1 nigeriano. Nessun siriano, nessun profugo, ovviamente, ma i soliti migranti economici sradicati dalla propria terra e attirati dalla carta moschicida della promessa di una vita nuova con soldi facili in  Europa.
La scena dell'arrivo è surreale. Il gruppetto dei paesani favorevoli che applaude e intona il suo benvenuto. Le stesse scene che abbiamo visto l'anno scorso in Germania nelle stazioni con la campagna "Refugees welcome". Refugees che appena qualche settimana dopo sarebbero stati ribattezzati "Rapefugees" a causa della loro incontinenza in quel di Colonia e in una dozzina di altre città tedesche e d'Europa.

E' incredibile come queste brave samaritane, per nulla impaurite dall'uomo nero - forse perché ne hanno quella idea mitologica di cui parla Faye - nutrano assoluta fiducia nella civiltà e capacità di integrazione con il nostro modello femminista di vita di uomini che vengono da realtà molto diverse dalla nostra. Diverso non vuol dire inferiore ma differente, non uguale. Anche noi siamo diversi per loro e per certi versi incomprensibili, soprattutto le femministe. In questo caso, per giunta, la maggioranza dei migranti è islamica, proveniente da un paese, il Sudan, il cui inno recita "Noi siamo l'esercito di Allah, l'esercito della Patria". La cosa non aiuta di certo.
Quando Edouard, nel video numero 7, cerca di avvicinarsi ai migranti per intervistarli, viene attenzionato e spintonato da un gruppetto di samaritane, alcune delle quali venute da fuori, non si sa da dove a dar manforte, che si preoccupano, con piglio da ducesse, di farlo allontanare dai poliziotti presenti per non farlo filmare, adducendo motivi di "privacy". Ah, certaines laisons dangereuses de la racaille avec les flics...











Seguiremo Edouard Frémy nei prossimi giorni, visto che il reportage continua, per vedere se è finalmente riuscito a parlare con i migranti, sfuggendo alle erinni di Soros.

Io ho trovato questo documento molto interessante. Avete visto che lo schema di questi episodi di cronaca è ricorrente. 

1) Annuncio dell'arrivo dei migranti in gran numero (rapportato alla comunità che dovrà ospitarli) e senza potervisi opporre (TINA).
2) Allarme della popolazione.
3) Proteste.
4) Si organizzano in loco o si fanno venire da fuori forze "no borders" per contrastare la protesta degli autoctoni.
5) Le autorità offrono alla popolazione locale il contentino della riduzione del numero dei migranti (o li si sostituisce con l'opzione soft donne e fantomatici bambini, come nel caso di Gorino).
6) La protesta finisce, i media spengono le telecamere. Fino al prossimo episodio.

Qualcuno si chiede: è giustificata la reazione di allarme della popolazione in questi casi? Non si tratta di pregiudizio nei confronti dello straniero?
La risposta è no. L'invasione del territorio in ogni specie animale, quindi anche nell'uomo, provoca una reazione di allarme e di aggressione nei confronti dell'intruso. "Si", aggiungono, "ma la paura non è una buona consigliera".
La paura è un sentimento primario che permette la sopravvivenza della specie. Il considerare l'intruso potenzialmente cattivo permette di mettere in atto le strategie per l'eventuale difesa da una sua aggressione, reazione che sarebbe impossibile se lo si considerasse buono a prescindere. 
Se l'intruso si rivelerà cattivo saremo pronti a reagire, e se si rivelerà buono non vi sarà motivo per continuare a temerlo, anzi, la reciproca interazione potrà portare alla scoperta di cose in comune ed alla felice coabitazione.
Non dimentichiamo che queste dinamiche sono sempre bipolari. Anche il migrante ha paura di chi lo dovrà ospitare. E' impossibile che non nutra questo sentimento e che non si renda conto che sta entrando in un territorio non suo e che potrebbe essere aggredito. Stranamente, e ciò dimostra quanto il regime globalista consideri questi esseri umani solo come orchi o pedine inanimate da spostare sulla scacchiera senza alcun rispetto per i loro sentimenti, nessuno vi parla mai di quest'altra prospettiva dalla quale osservare la questione. Proprio perché la propaganda ve li vuole dipingere come "buoni a prescindere".
E se il regime lo fa è perché sa che il suo messaggio è disonesto e che, dal conflitto cognitivo che ne nasce, permarrà la strategia della tensione, accentuata dalla consapevolezza da parte nostra che questa accoglienza forzosa è un imperio da parte di autorità che non hanno alcun rispetto né della democrazia né della nostra incolumità.

La reazione negativa delle popolazioni di questi piccoli paesi è anche dettata dal mero buon senso. 
In un paese di 300 abitanti, senza industrie (a proposito del famigerato "esercito industriale di riserva" ma in assenza di industria), senza niente se non il minimo indispensabile, cosa possono fare 15 giovani africani sottratti alla forza lavoro del loro paese ed inseriti come corpo estraneo?  Sono in un paese lontano, che li vede con ostilità, non hanno prospettive di lavoro, non potranno andare in Inghilterra come volevano, scopriranno presto di essere stati ingannati ed illusi, oltre che derubati dai negrieri 2.0 dei propri risparmi. La loro rabbia monterà e diventeranno aggressivi. A quel punto, e immaginiamo queste rivolte sparse in tutta Europa, la loro reazione potrebbe essere la scintilla e il casus belli per l'instaurazione di un bello stato di polizia con repressione cieca di ogni dissenso, autoctono e forestiero, un'orgia di mazzate per chi finora è stato protetto, sparizioni di migranti non più necessari e anzi molesti chissà dove e con la sospensione dei diritti democratici in paesi che fino al giorno prima lo erano. Provate a mettere i tedeschi di fronte all'aut aut "le vostre banche e il vostro surplus o i migranti" e rischiereste di veder loro riaccendere i forni. Ma questo non ditelo alla bella samaritana.

Intanto a Parigi, la Ville Pattumiére... (questo è in inglese. Ri-arrangiatevi).


domenica 30 ottobre 2016

Frame alle vongole



Oggi tocca fare debunking, cosa che odio. 
Sul "Messaggero" del 28 ottobre scorso è apparsa questa notizia:

Conad ritira le vongole veraci di Goro: «Contengono un batterio pericoloso»


Nell'articolo, tra l'altro, si legge: 
"La ditta produttrice ha sede a Goro in provincia di Ferrara, lo stesso paese che in questi giorni è balzato agli "oneri" della cronaca per il respingimento delle donne migranti e fa parte di una delle aree italiane più fertili per la molluschicoltura ovvero il Delta del Po."
La notizia viene rimbalzata su altri giornali e siti di news, quasi sempre associando il richiamo del prodotto alla rivolta dei gorinesi contro l'imposizione dell'arrivo dei migranti. 
"La scoperta del lotto ‘incriminato’ arriva in coincidenza con le polemiche scoppiate nella frazione di Gorino, diventata purtroppo famosa in tutta Italia per le barricate contro le donne profughe." (estense.com)

Peccato che l'annuncio del richiamo del prodotto, sulla pagina del sito della Conad, risulti risalente al 21 ottobre e quindi l'associazione con i fatti del 25 ottobre sia alquanto arbitraria.


Nell'avviso di Conad si legge che il ritiro di alcuni lotti confezionati il 17, 18 e 19 ottobre è precauzionale, in quanto la contaminazione risulta solo presunta. Sul sito del Consorzio Pescatori di Goro si legge che le loro vongole veraci sono certificate per un valore microbiologico di Escherichia coli inferiore a 230. Per altro il sito dell'altro grande colosso della distribuzione, la Coop, non riporta in questi giorni alcun comunicato in proposito al ritiro precauzionale di confezioni di vongole. 
Immagino che, in seguito al fermo da parte di Conad, saranno state eseguite analisi sulla bontà del prodotto. Magari sarebbe interessante conoscerne i risultati.

La notizia del ritiro era stata ripresa il 25 ottobre da Il Salvagente Test, rivista di tutela del consumatore.
Il giorno dopo però, in concomitanza con la rivolta degli abitanti di Gorino contro la requisizione dell'ostello bar Gorino per ospitare alcune sedicenti profughe, un solerte "consumatore" modenese pubblica su Facebook una lettera aperta alla cooperativa pescatori di Goro aprendo il fuoco del boicottaggio contro i "razzisti", il  "boicottiamo le vongole di Goro", riportato prontamente da quella parte del web che in questo caso non è una cloaca ma cosa buona e giusta perché serve alla nobile causa. Dalla rete, il frame boicottiamo i vongolari razzisti qualche giorno dopo raggiunge i giornali, che non si preoccupano minimamente di verificare l'esistenza del nesso vongola-migranti, provocando, di conseguenza, la fallacia del contro-frame boicottiamo la Conad che boicotta i vongolari, e giù a cascata.

Stop. Ricapitolando: la Conad casualmente ritira alcuni lotti di vongole, casualmente prodotte a Goro.
Nel frattempo scoppia il caso Gorino vs. prefetto Tortora e il comune di Goro sale agli "oneri"della cronaca.
Sono tutti eventi scollegati, disgiunti, come si dice in logica, ma la stampa ha voluto comunque, a distanza di giorni, cucinare un bel frame alle vongole, questo sì sicuramente tossico perché, dando per scontata la contaminazione del prodotto, non dimostrata, insinuano che, oltre che razzisti, questi pescatori sono pure degli avvelenatori.
Perché riprendere una notizia a scoppio ritardato collegandola a qualcosa che non c'entra niente con essa? Perché si sono fatti prendere la mano dal meccanismo della libera associazione o per vedere se colpendo un vongolaro se ne possono educare cento? 

Morale della favola: verificare, verificare, verificare, verificare, verificare qualunque notizia.

giovedì 27 ottobre 2016

Ricordando l'italiano Enrico Mattei


Bascapè non sembra un nome da provincia lombarda, anche se è quello di un antico casato di feudatari del pavese. E' più un nome esotico, africano, coloniale; ricorda, per assonanza, Macallè, l'illusione imperiale italiana, gli imperatori etiopi. 
A Bascapè morì, il 27 ottobre del 1962, l'imperatore italiano del petrolio, Enrico Mattei. Pioveva a dirotto quella sera, ma il "Morane Saulnier" proveniente dalla Sicilia e diretto a Milano non si avvitò e cadde a causa delle intemperie. Esplose in volo, come raccontò subito un testimone che poi ritrattò per paura e in seguito si portò nella tomba la verità della palla di fuoco che aveva visto, mentre la figlia otteneva già da subito un ottimo posto di lavoro all'ENI.
L'aereo esplose a causa di un sabotaggio, di un attentato, come ha ormai stabilito l'inchiesta riaperta negli anni novanta dal sostituto procuratore  di Pavia Vincenzo Calia. L'ultima delle tante che da mezzo secolo cercano di risolvere uno dei primi misteri d'Italia e della strategia della tensione.
Mattei era imperatore e con molti nemici e congiurati, fuori e dentro la città proibita e ideale del mondo ENI. I nemici che si fanno di solito i ribelli, gli alfa, quelli troppo orgogliosi per obbedire sempre e rinunciare alla propria visione per compiacere l'interesse altrui, tranne quello comune. Era di quei dominanti che, quando sono costretti  ad affrontarne altri, sanno che dovranno combattere fino all'ultimo sangue.

Sono trascorsi cinquant'anni da Bascapè ma da quanto diversa ci appare l'Italia di Mattei da quella di oggi sembrano trascorsi anni luce.
L'Italia del cane a sei zampe, di Cortemaggiore "la potente benzina italiana", era un paese dove lo Stato non era ancora una parolaccia impronunciabile. Esisteva lo Stato, non il sistema paese, entità proteiforme che ormai nasconde soprattutto l'interesse privato e delle servitù clientelari, a scapito di quello collettivo.
Il laissez faire e l'ultraliberismo erano in minoranza rispetto ad una concezione economica ancora predominante che prevedeva ancora il primato dell'interesse generale, potremmo dire una sorta di etica della spinta al benessere per tutti.

Mattei aveva una visione, come si dice oggi con un termine assai abusato. La visione bruciante del petrolio, dell'energia che muove il mondo e le altre stelle. Una visione industriale ma soprattutto politica.
Prende in gestione l'AGIP subito dopo la seconda guerra mondiale, nel momento in cui si pensa di chiuderla, di svenderla perché improduttiva, o perché la perdita della sovranità impone al nostro paese anche di dismettere gli asset strategici. Vi ricorda niente?
Cocciutamente, servendosi abbondantemente della politica del dopoguerra, che conosce dal di dentro grazie al suo passato di partigiano bianco, Mattei salva l'AGIP e la trasforma in ENI, la più importante azienda statale italiana. Statale. Anni luce.
Corruzione, tangenti e politica. Mattei, per sua stessa ammissione, "saliva sul taxi", ovvero si serviva dei partiti, pagava la corsa e scendeva. Pagava tutti, senza favoritismi, bianchi, rossi e neri.
Oggi, grazie alla mistica dell'Onestà, di cui il M5S è solo l'ultimo dei cantori, l'argomento della corruzione è impiegato come passepartout per interpretare qualunque fatto storico italiano, soprattutto per denigrare la Politica fatta dai politici di mestiere di una volta, finendo per arrivare a riscrivere il passato in chiave etica e non storica.
Secondo recenti rivelazioni di intelligence inglese, ad esempio, perfino il delitto Matteotti del 1924 sarebbe riconducibile ad un affaire di corruzione, ad uno scandalo petroli ante litteram, che coinvolgeva il regime fascista e perfino persone vicinissime a Mussolini. Secondo questa versione, sembra che Matteotti stesse per denunciare la corruzione del regime in parlamento e che sia stato eliminato prima che potesse parlare.
La corruzione come neo peccato originale invece non è che uno dei normali epifenomeni dello scambio di favori tra il profitto e chi si frappone ad esso, in ogni luogo ed epoca ma soprattutto nel mondo capitalista e in quello post-capitalista dove, ancor più che al tempo di Mattei, il profitto è diventato una variabile a tendenza esponenziale senza più limiti oggettivi.

La visione di Mattei era l'indipendenza energetica italiana. Indipendenza, quindi riconquista della sovranità nazionale. Due cose che all'Italia erano negate a causa di vecchi debiti di guerra calda e a nuovi vincoli ed alleanze da guerra fredda. L'Italia era considerata alla stregua di un protettorato. Il cane a sei zampe di Mattei a cuccia però non ci voleva stare. Troppe zampe per poter restar fermo. Se Mattei intreccia alleanze con i paesi energeticamente emergenti, propone contratti a loro favorevoli, spariglia le carte alle Sette Sorelle, le multinazionali del petrolio - cerca il profitto, sicuramente - lo fa sempre per il progetto dell'indipendenza energetica dell'Italia attraverso la sua grande industria statale ENI. Sempre in nome di una visione che non è di un singolo, dell'imprenditore, del privato, ma di un popolo, collettiva.
Intendiamoci. Mattei non è un santo, anche se è morto martire. A volte bluffa, bara sui dati del petrolio che riesce a trovare trivellando la Pianura Padana. I suoi pozzi non sono ricchi come quelli del Texas ma lui fa scrivere sul "Giorno", il suo giornale aziendale, quindi disposto a dargli sempre ragione, che a breve l'Italia galleggerà su un mare di oro nero. Per certi versi è sulla linea dei grandi imprenditori corsari italiani.
Per difendere l'ENI sarebbe disposto a  tutto. L'ENI, non sé stesso. Infatti non si tira indietro neppure quando capisce che la sua visione spregiudicata lo porterà all'inevitabile redde rationem con il mondo che spinge in una nuova direzione.

Una delle cose che più sorprendono il lettore che legga la biografia di Mattei e che marca la differenza con l'attualità, è scoprire che era ricco, si, ma della ricchezza di un capitano di industria di allora. Un povero, quindi, in confronto ai CEO dei nostri tempi, dalle buonuscite milionarie in dollari sempre più spesso totalmente immeritate perché ricavate da aziende ridotte in macerie dalla politica del profitto per il profitto.
Se Enrico tornasse in mezzo a noi penso che farebbe molta fatica a capire il concetto di stock option e i milioni di euro di stipendio annuale di un CEO nonostante la società sia in procinto di fallimento, per non parlare della scarsa affezione che quel tipo di volonterosi carnefici del capitalismo sembra dimostrare alle aziende e soprattutto ai loro dipendenti.

Chi poteva volere allora la testa di Mattei? Il gioco dell'individuazione dei possibili mandanti va avanti anch'esso da cinquant'anni. 
Le compagnie petrolifere cosiddette "sette sorelle", per punirlo della sfacciata pretesa di indipendenza e riottosità verso le regole del commercio energetico, vedi le condizioni troppo vantaggiose che il presidente dell'ENI concedeva ai produttori del terzo mondo a danno delle compagnie stesse anglo-franco-americane?
Il governo americano, vista la spregiudicatezza con la quale Mattei dichiarava di voler sottoscrivere accordi energetici con i paesi arabi e l'Unione Sovietica, infrangendo la consegna di subalternità atlantica dell'Italia? O il governo inglese, come suggerito da recenti rivelazioni contenute in documenti desecretati di intelligence, allarmato dalla concorrenza dell'Italia di Mattei sui territori petroliferi ad interesse britannico?
Mattei fu una vittima del risiko della guerra fredda, eliminato con una operazione in nero, nei giorni dei Missili di Cuba, magari approfittando dello stato di crisi per accelerare un piano già predisposto da tempo? 
La pista dell'OAS, sulla base delle minacce del terrorismo francese di destra effettivamente giunte a Mattei negli ultimi giorni della sua vita è quella meno convincente, anche a causa dei legami ambigui dell'organizzazione terroristica con l'atlantismo eversivo, che riportano quindi sempre alla stessa matrice.
La pista "americana" è da alcuni storici considerata poco probabile a causa del buon rapporto che alla fine Mattei era riuscito a stabilire con l'amministrazione Kennedy e che era in procinto di ufficializzare con un viaggio di distensione negli Stati Uniti dopo gli aspri contrasti del passato. Secondo alcuni studiosi, JFK avrebbe addirittura voluto Mattei come premier a capo dell'Italia, una sorta di anticipazione dei tycoon e imprenditori a capo degli stati, tendenza consolidatasi solo molto tempo dopo nella politica mondiale. In ogni caso, però, poco più di un anno dopo, anche il presidente Kennedy cadrà vittima di un attentato, eseguito a regola d'arte ed anch'esso catalogato come black op, e commesso nello stato tradizionalmente più petrolifero e ribelle d'America. Il Texas dove una certa famiglia Bush già poneva le basi per l'esecuzione della sua futura opera al nero.

C'è anche l'ipotesi della congiura di palazzo, del complotto politico interno con l'appalto alla mafia della logistica dell'attentato. Un affare in gran parte italiano, insomma, del quale beneficiarono sicuramente anche gli interessi atlantici e forse fu da questi avallato se non ispirato. Un intreccio di interessi politici, personali e di potere all'interno dell'ENI, con la creatura di Mattei che, alla fine, gli si ritorce contro. 
E' l'ipotesi criptata da Pier Paolo Pasolini nel romanzo postumo e incompiuto "Petrolio", dove nella figura del protagonista l'autore allude pesantemente ad Eugenio Cefis, il successore di Mattei alla guida dell'ENI e personaggio assai discusso non solo in relazione a questo mistero italiano.
Politica, strategia ed energia, allora come oggi, sono elementi di un sistema in equilibrio precario e assai delicato, sempre pronto ad incrinarsi. L'assassinio di Mattei è atto sicuramente politico, strategico e legato agli interessi dell'energia, allora quasi totalmente ancora legata al petrolio. 
In un preciso momento, quando il corso della storia stava cambiando drammaticamente, dirigendosi verso un modello di capitalismo che ambiva ad arrivare alla totale depravazione attuale, Enrico Mattei divenne scomodo perché rappresentava il passato e un modello antitetico e vincente che doveva essere eliminato con gli uomini che ne erano stati i protagonisti. Forse, quando il vento cominciò a spirare sempre più forte in quella direzione, non ci fu nemmeno bisogno di dare l'ordine.

Eugenio Cefis, l'uomo nero dell'ENI e secondo la leggenda il vero capo di quella consorteria occulta di gestione del Potere che chiamiamo per convenienza P-qualcosa, (come la P2), era colui che disse, nei primi anni sessanta: "E' inutile, il golpe in Italia non si fa con le sciabole e i carri armati ma con il controllo dei media: giornali e televisioni". Un profeta, ma non solo.
In uno suo discorso ai cadetti dell’Accademia Militare di Modena il 23 febbraio 1972, pubblicato nel bimestrale L’Erba Voglio col titolo "La mia Patria si chiama Multinazionale"egli delinea in maniera straordinariamente agghiacciante il futuro che ci avrebbe atteso e che si è puntualmente avverato. L'articolo di Eugenio Orso che lo riassume propone ad esempio questi passaggi significativi:
pag. 11: “fino a quando il nostro continente sarà frammentato in diversi stati, fino a quando la multinazionalità potrà essere identificata con uno o due paesi d’origine, cioè con i paesi delle società madri, le iniziative delle affiliate della multinazionale dovranno sempre combattere un certo clima di diffidenza e sospetto dovuto al fatto che i loro centri decisionali più importanti sfuggono al controllo del potere pubblico locale”.
pag. 15: “se i controlli statali creano vincoli eccessivi agli investimenti e alle operazioni in un Paese, la società multinazionale può comunque agire potenziando le sue attività in altre aree geografiche e disinvestendo dal Paese in cui si sente troppo contrastata”.
pag. 16: “la difesa del proprio Paese si identifica sempre meno con la difesa del territorio ed e probabile che arriveremo anche ad una modifica del concetto stesso di Patria …
C'è tutto e c'è, come scrive Orso, la consapevolezza che non avremo scampo. Siamo prigionieri nella villa dove i potenti potranno abusarci senza limiti, in modo inenarrabile e senza che alcuno arrivi a salvarci. E' "Salò", che Pasolini concepisce dopo aver letto quel testo. Sade e il capitalismo del futuro.
C'è bisogno di rimarcare che Mattei, pur con tutti i suoi difetti e peccati, non avrebbe mai potuto sopravvivere al mondo che sarebbe venuto? Uno che non avrebbe mai anteposto l'interesse "dell'Europa" a quello del suo paese e tanto meno avrebbe ambito a morire per un'entità astratta e malevola, che non avrebbe accettato di vedere l'Italia smontata e svenduta pezzo per pezzo al mercato degli schiavi dove si barattano interi popoli? Non ha alcuna importanza chi ha ordinato l'esecuzione, per non dire chi l'ha eseguita. Quello di Mattei fu un sacrificio propiziatorio.

L'Italia è diventata solo più spregiudicata e cinica, rimanendo però la serva che è sempre stata, perché i "Mattei" che potrebbero emanciparla non ci sono più. Il capitalismo è tornato quello spietato delle origini, con l'aggravante che, avendo scoperto la formula magica per moltiplicare il denaro all'infinito, invece di sognare la piena occupazione e il benessere per tutti, delocalizza e impone rigore e sacrifici umani sull'altare del suo unico dio, perché quello è l'unico modo per rinnovare ogni volta la magia della moltiplicazione.
Questo necrocapitalismo non riesce più a far nascere uomini come Enrico Mattei ma solo a clonare i Cefis. Ed Enrico Mattei, certamente, questo mondo non avrebbe sopportato di vederlo.

mercoledì 26 ottobre 2016

Brutti, indigeni e italiani

 

Avrete letto e starete leggendo ogni possibile infamia sulla resistenza dei cittadini di Gorino contro l'inoculazione della solita dose di "profughi" nel loro come negli altri piccoli centri di questa Europa under attack. La stessa cosa che stanno facendo ai loro concittadini i nipotini di Vichy in Francia. Si disloca la feccia di Calais (altro che profughi), la schiumatura del terzo mondo - altro che i veri affamati, che non ricevono più aiuti nei loro paesi perché vanno tutti ai migranti - che il terzo mondo, chiamalo scemo, non vuole più, a metastatizzare la provincia francese, quella italiana, a coventrizzare di islamici la Gran Bretagna, a sostituire le tranquille socialdemocrazie nordiche e la sorniona rigidità tedesca con la violenza della sharia. Il modo più vigliacco e subdolo di intaccare il tessuto di una comunità al solo scopo di distruggerla - chi non lo capisce che è un atto di distruzione è un idiota - è inserirvi un numero sufficiente di alieni tale da impedirne, per la legge della matematica, l'integrazione e rendere inevitabile la sottomissione di chi dovrà convivere con la loro maggioranza. E la cosa paradossale è che questo abominio è lo stesso peccato mortale che vorrebbero noi europei espiassimo in eterno, il colonialismo. 
Si vergognano di noi (onorata della medaglia, madame De St. Vincent) e vorrebbero indurci a provare vergogna per il fatto di preferire il simile all'estraneo ma non ci riusciranno, perché la difesa del territorio e del branco è più forte di qualunque pervertita ideologia artificiale e sua dittatura imposta. E' forte soprattutto in una comunità di meno di quattromila anime. Chiedete a qualunque antropologo. Senza contare che chi vive sul mare e sa che da esso può venire sia la vita come la morte, è naturalmente portato a diffidare degli stranieri che appaiono in massa all'orizzonte. Chiedete dalle parti di Otranto.

L'altro giorno ho rivisto "Apocalypto" di Mel Gibson, del quale vi ripropongo per l'ennesima volta questa significativa scena finale.


Ogni epoca ha i suoi "open the borders" e i tanti ingenui, se non allocchi "refugees welcome" che corrono ad offrire i figli in cambio di specchietti e collanine colorate ma, per fortuna, ci sono anche quelli che optano per una sana reazione di fuga. La differenza tra noi e il valoroso guerriero indio giustamente diffidente nei confronti degli sbarcati con tanto di fratacchioni al seguito, è che lui non aveva un Mentana a fargli ogni sera il predicozzo dell'accoglienza dal pulpito del telegiornale, con l'immancabile faccia schifata del "se non li accogli sei proprio una merda". Beato lui. L'indio, intendo.

Sia ben chiaro, gli africani, poveretti, sono pedine mosse senza scrupoli da una delle più spietate organizzazioni criminali di tutti i tempi. Vengono reclutati, illusi, raggirati, indotti a racimolare somme enormi da tutto il clan famigliare per pagarsi il viaggio verso una terra dove, viene detto loro, potranno avere tutto gratis. Sono vittime ma non si possono per questo accogliere sulla base di un principio fallace e ingannevole e perché non sono abbastanza acuti da subodorare l'inganno. In qualche modo devono capire che qui non è aria se non a determinate condizioni e regole, quelle che hanno sempre permesso alla gente di emigrare in ogni epoca ma non di rovesciarsi in massa e senza limiti nella terra degli altri senza dover combattere una guerra. Che apprezzino anche loro la durezza del cogitare.
Perché se sono veramente convinti che ciò che è dei bianchi è loro, che tutto è dovuto, o per risarcimento del peccato originale coloniale o per diritto divino (esiste anche il suprematismo nero), tra un po' qui sarà il Sud Africa che, unito alla sharia imposta dal wahabismo che nel frattempo avrà spazzato via ogni traccia di islam assimilato perché finora somministrato in quantità modica, vorrà dire l'inferno. E, a quel punto, chi li ha fatti accorrere a migliaia dovrà scegliere tra loro e i forconi dei loro concittadini. Nessun Bava Beccaris ha mai fermato una vera rivoluzione, una diga popolare che si rompe sulla spinta dell'ingiustizia dei violenti e degli usurpatori.
Ampi settori della stessa élite mondiale si stanno del resto accorgendo che distruggere l'Occidente a colpi di africani e islamici è una follia e stanno furbamente correndo ai ripari. Altro che TINA.

Per riassumere i fatti di Gorino, i cronisti ci hanno raccontato che "i gretti e razzisti" abitanti di questo paesucolo - ma come vi permettete, cialtroni! - hanno respinto alcune donne e bambini. Qualcuno mi ha raccontato invece che erano previsti in arrivo i soliti maschioni ben piantati ma, all'ultimo momento, vista la reazione degli abitanti, questi sono stati rimpiazzati con alcune donne in modo da mettere in piedi il ricatto morale. Che però, ormai, ottiene solo un devastante effetto boomerang.
Non so quale sia la verità. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, comunque, sarebbe stata la requisizione da parte del prefetto, per alloggiare i migranti, di un ostello di poche camere, tra l'altro gestito da una ragazza serba, unico punto di riferimento per il turismo in loco.
Non sarebbe il primo caso di requisizione, visto che ne segnalano uno anche a Verona ed è una questione da indagare a fondo, se si tratti ovvero di ingiunzione, magari senza retribuzione del proprietario, perché da qui all'esproprio e poi all'abolizione o limitazione della proprietà privata "caso per caso", come scriveva Spinelli nel famoso "Manifesto", è un attimo.

La reazione dei gorinesi ha permesso di spostare altrove  la collocazione dei migranti ma su di loro è calata la riprovazione dei soliti media infami.
Ricordatelo sempre, non potrebbero farlo senza di loro, senza questo Italienrat di politicanti e addetti alla propaganda, incaricato di vessare, attenzionare, impoverire, espropriare, bastonare, disprezzare ed avviare alla deportazione i propri fratelli. Del resto il loro mentore, da puteo, si fece le ossa così. La permissività, anzi l'incentivazione all'odio di sé, l'autorazzismo a rutto libero nascono da una delle pagine più vergognose della storia del novecento. Ricorderò sempre quello storico ebreo polacco, sopravvissuto alla rivolta del ghetto di Varsavia che, ad un congresso della diaspora au caviar che lo teneva in disparte come un parente povero e imbarazzante, mi confessò sorridendo: "Mi ricordano tanto quelli dello Judenrat".

Stamattina ho appreso dal giornale dell'anziano groupie dell'oligarchia tramite il suo mellifluo maggiordomo che io che mi oppongo all'invasione de facto del MIO paese non devo più considerarmi italiana ma indigena e faccetta bianca..
Ero rimasta ferma alla definizione di autoctoni ma in un anno siamo già arrivati a quella di indigeni. Tra un po' saremo i selvaggi, gli aborigeni, poi verremo direttamente pseudospeciati, espulsi dalla razza umana. Meglio chiedere asilo ai cani, a questo punto, che sicuramente ci accoglieranno scodinzolando e leccandoci la faccia. Sicuramente amandoci più dei prefetti, del ministro dell'Interno e del capo del governo del Manchukuo mondialista.
Davvero, non potrebbero farlo senza i media e la gloriosa macchina da propaganda che rappresentano.
Ascoltate la supponenza, data dalla consapevolezza di essere "dalla parte giusta" con la quale l'inviato d'assalto, la guardia rossa con il piglio della giovane cacca di cane si rivolge agli anziani intervistati di una terra alla quale i suoi abitanti hanno sempre dovuto strappare a morsi un po' di benessere: "Ma voi qui eravate emigranti!"


E leggete anche la solerzia con la quale il suo giornale ospita, senza osare contraddirla,  anzi unendosi al coro unanime di riprovazione degli altri compagni di edicola, la vomitata di autorazzismo di un'autorità che, fatto inaudito al quale sempre più spesso purtroppo stiamo abituandoci, si permette di insultare il popolo e la patria che è stato chiamato a servire, non a vilipendere. Quando introdurremo il reato di vilipendio del proprio popolo?

(Marco, quando ci spadellavi la minchia tanta con le malefatte di Berlusconi, con chi speravi di sostituirlo, con questi? Con i Soros, la Spectre del palazzo di vetro, i Khmer Rouge di Ventotene? Con i nemici del popolo perché amici dei banchieri troppo potenti per fallire, i traders strafatti del "con un uno-due put-call ti stendo un'intero stato"? Con i neoschiavisti della globalizzazione e le vecchie puttane a gettone dei wahabiti?)


Se leggete la biografia di questo prefetto potete unire tutti i puntini e colorare anche un bel mandala. Ci sono tutti e i soliti refrain. SEL, l'asinistra, l'ONU.
Un ricordo che ci porteremo appresso a lungo, prefetto? E dove, nei killing fields? Deportati in Ungheria o meglio ancora, verso la Polonia in una ridente località chiamata Oświęcim? 
Ottusi noi? Si vergogna di averci come connazionali? Ma come si permette? E poi, scusi, quando dice "noi", noi chi?
Davvero Travaglio non è turbato dalla violenza anti-italiana, io direi francamente razzista, di queste dichiarazioni che imbrattano il suo prezioso giornale, che avrebbero in altri tempi estorto un gigantesco editoriale al suo mentore Montanelli, e lascia invece che alcuni botoli ringhino i loro inutili articolessi autorazzisti contro gli abitanti di Gorino? Contro i loro fratelli, perdio?

La vera globalizzazione è la nostra, è quella dei popoli che, qui in Europa come in America, si stanno unendo per mal comune contro questa barbarie del colonialismo al contrario, la vera decrescita ma nel senso della retrocessione del primo mondo nel terzo. Senza alcuna prospettiva di evoluzione per chi arriva ma di regressione alla barbarie per tutti.
Altro che appelli degli arcivescovi, anch'essi divenuti fanatici di quest'aberrazione di cristianesimo che ha perso la sua secondarietà (leggete questo bellissimo pezzo di Blondet); per coloro che la auspicano, che la favoriscono o che solo la celebrano intingendo la penna nell'infamia ho nostalgia di un Dio giusto e implacabile. Di un Dio che mandi un nuovo diluvio. Di un Dio Biblico da Antico Testamento.

domenica 23 ottobre 2016

L'Europa trema: la polizia francese vuole giustizia


Oggi che è domenica, invece di rilassarsi e non scrivere oppure al massimo trattare argomenti di alleggerimento, tocca fare informazione, ovvero riempire quel vuoto cosmico che viene lasciato appositamente tale dall'informazione mainstream. Tu apri i giornali - per la verità quelli di carta personalmente li schifo anche al bar - ne scrolli i siti in Rete o accendi la TV e, tra quintali di pluriball del tipo: "Gli distruggono la gabbia, il pappagallo furioso lancia insulti"(Corriere), "Gatto irrompe in studio durante diretta tv" (Repubblica), "Il cavallo fa un massaggio alla pancia di un cane, lui ne va pazzo" (La Stampa), al massimo trovi la solita propaganda completamente scollata dalla realtà, così perfettamente uguale su tutte le testate da rivelarne la matrice comune.
Analisi raffinate tipo l'articolo-Luce sul duce Renzi di Eugenio "Norma Desmond" Scalfari sulla Repubblichina e il temino di Veltroni "Vuoi più bene al papà (Trump) o alla mamma (Clinton)?" su Gramscì Hebdo pubblicati oggi dimostrano che Matrix esiste ed è quella dove vivono e che descrivono, spacciandocela per la realtà fattuale, i giornalisti MSM per conto del Grande Fratello. Propongo di aggiungere, per correttezza nei confronti dei lettori, sotto ogni testata, un bel "powered by TINA" e il disclaimer "Eseguiamo solo gli ordini".

Se state seguendo la pubblicazione delle email di Podestà, da parte di Wikileaks, avrete letto questa che vi propongo, dove si parla di un'alleanza tra testate per il "consolidamento di una pubblica opinione comune in tutta Europa", immagino attraverso una linea editoriale comune. Per far ciò s'offrono, oh, come s'offrono, alla graziosa magnanimità di Sua Maestà Hillary tramite la sua favorita per facilitarne la campagna nel vecchio continente.


Niente di nuovo, direte. Se sapeva. Direte che questi Wikileaks finora sono solo punturine di spillo che non riescono a perforare la corazza dell'armadilla vestita da Ernst Stavro Blofeld, (guardate il video linkato fino alla fine) ma se la CNN, tramite questo signore, sostiene mentendo che leggersi i Wikileaks per i propri cavoli sarebbe "illegale" e che bisognerebbe farlo solo con la mediazione del mainstream, ovvero facendoceli raccontare da loro (risate registrate), è evidente che qualcosa di fastidioso devono provocarlo.
Scusate se ho divagato ma il problema dei media è talmente grave ed ingravescente che bisogna sempre ricordare che fare informazione oggi, tentare di far passare le notizie sui fatti importanti che vengono ignorati o nascosti è quasi un atto di eroismo che tocca sempre di più compiere a chi non fa parte della sovrastruttura dell'informazione.

Avete infatti per caso saputo qualcosa dal mainstream sulle proteste dei poliziotti e pompieri in Francia e sulle manifestazioni che da una settimana ormai avvengono ogni sera per le strade di Parigi, toccando luoghi significativi come la Bastiglia, il Bataclan e i palazzi governativi? Se per caso ne avete udito parlare in TV potrebbero aver sbrigato la pratica in meno di trenta secondi, considerandola una semplice rivendicazione sindacale dei soliti poliziotti fascisti, che in Italia è un classico, e bon, passiamo alle cose serie, all'imperatore Palpatina Trump che minaccia il mondo.

Eppure un corpo dello Stato che manifesta contro lo Stato non è una robetta da nulla. Può essere un fatto a sé stante, una questione sindacale; l'inizio di una rivoluzione o una pura provocazione, oppure qualcos'altro ma, in ogni caso, meriterebbe un minimo di attenzione da parte degli addetti alla cronaca.
Invece niente. Silenzio tombale. Ancora oggi, dopo una settimana, niente su Unità, Manifesto, Fatto Quotidiano, Quotidiano Nazionale, Giornale e Libero. Impressionante.
Eppure le immagini ci sono, le cronache pure. Ne scrivono e stanno seguendo la vicenda con articoli quotidiani Le Monde, Le Figaro, Le Parisien e tutti i giornali francesi.
Su Twitter vi consiglio di seguire questo giovanissimo reporterClément Lanot, che sta documentando con video quotidiani e praticamente in diretta le manifestazioni.



Nel titolo ho parafrasato quello di un film poliziottesco degli anni 70 ma sull'argomento non c'è proprio niente da sorridere o scherzare. Molti osservatori, e non solo i soliti "fascisti", parlano di albori di guerra civile in Francia, a causa della perdita di controllo di alcune aree del paese da parte dello Stato, aree finite sotto controllo islamico o comunque straniero, sulla quale si inserisce, andandola ad aggravare, il problema dell'afflusso incontrollato di "migranti" di etnia africana che vanno a riempire spazi già degradati ed altri da degradare, senza altra prospettiva che ingrassare le file della manovalanza dell'esercito del caos.
Le reazioni dei politici e delle autorità francesi alla collera dei poliziotti sono state vergognosamente vigliacche e antipatriottiche. Qualcuno, come Faye, ha parlato di "ritorno del fantasma di Vichy".

I poliziotti francesi, ai quali si sono uniti anche i pompieri e, sera dopo sera, tanti cittadini comuni che testimoniano la loro solidarietà alle forze dell'ordine, stanno protestando a causa dell'aggressione con bottiglie molotov ad una pattuglia in servizio l'otto ottobre a Viry-Châtillon (Essonne), una delle più pericolose tra le zona di sicurezza di priorità (ZSP) a sud di Parigi. Uno dei poliziotti versa tuttora in gravi condizioni a causa delle ustioni riportate.  L'episodio, connotato da particolare ferocia nei confronti degli agenti, bloccati da almeno una quarantina di giovinastri all'interno della loro auto incendiata, era stato raccontato dalle cronache dei giornali, come testimonia questo articolo di Repubblica, ma oggi, a due settimane dall'accaduto, si fa evidentemente fatica a collegare i fili e ad accendere la lampadina che illumina le motivazioni di quell'aggressione e quelle delle proteste sempre più affollate dei poliziotti, sempre più al canto della Marsigliese. Capirete tra breve il perché di questo neglect.




Gli agenti aggrediti erano intervenuti per controllare il funzionamento di una telecamera di sorveglianza piazzata ad un semaforo dove avvengono regolarmente rapine violente ai danni degli automobilisti con una frequenza che è passata dai venti ai quaranta casi in sei mesi. 
La modalità è sempre la stessa. Quando scatta il rosso, le auto costrette a fermarsi vengono fatte oggetto di lanci di sassi. Dai finestrini infranti i ladri portano via borse, computer, cappotti, cellulari. Vengono prese di mira soprattutto le donne. In alcuni casi gli occupanti delle auto sono stati trascinati fuori e picchiati.
I responsabili delle rapine sono quasi sempre minorenni che, dopo il colpo, riescono a dileguarsi nei vicoli tortuosi di questa banlieue posta lungo l'autostrada A6.
Nell'aprile del 2015 il comune di Viry-Châtillon stanziò 12.000 euro per l'impianto di telesorveglianza ma a settembre di quest'anno, dopo vari tentativi infruttuosi, il palo che sostiene la telecamera fu divelto utilizzando come ariete un furgone rubato e poi incendiato. Poco prima i malviventi avevano tentato di rubare un camion più grande, assaltato con le molotov, il cui conducente era riuscito a fuggire.

I poliziotti hanno di fronte sempre di più gente determinata e pronta ad uccidere, sono in pochi e con attrezzature inadeguate. Un problema comune a tutte le forze di polizia europee.
Come spiegano le autorità cittadine e le forze dell'ordine, attraverso questi atti che vanno dal vandalismo all'assalto dell'auto dei poliziotti con le molotov per bruciarli vivi, i criminali "Vogliono dimostrare che sono a casa, che questo è il loro quartiere. E' una guerra per il territorio".
In un periodo in cui le parole chiave della Spectre che ha occupato il palazzo di vetro sono ripopolamento e sostituzione, e questi vengono messi in pratica facendo passare per atti umanitari di soccorso a "disperati" l'invasione di fatto del territorio di tutto il mondo occidentale da parte di estranei potenzialmente ostili, il termine "guerra per il territorio" riferito a quartieri popolati in maggioranza da immigrati africani e islamici può significare solo in prospettiva guerra guerreggiata. 

Nel filmato di Radio Londres che racconta una delle manifestazioni di Parigi, un poliziotto nero denuncia il fatto che, durante la manifestazione di Parigi, un giovane si è avvicinato ed ha gridato "a fuoco i poliziotti". Sono gli stessi slogan della nota organizzazione terroristica "Black Lives Matter" che vanta alcuni testimonial famosi tra gli artisti del mondo hip hop e hollywoodiano, come i meticci odiatori della loro parte bianca Beyoncé e Jessie Williams, il bel dottorino di Grey's Anatomy. 
Che c'entra il rap? Ricercando sui fatti della banlieue di Viry, ho trovato un fatto curioso. A Grigny, poco lontano dal luogo dell'agguato ai poliziotti, vive un gruppo di rappers denominato Black Automatik che, in uno dei loro pezzi del 2011 cantava:

"Non ti fermare al semaforo, se tieni alla tua vita. Non fermarti al semaforo, non mettere la borsa sul sedile del passeggero perché ti assalteremo e te la ruberemo."


Nel 2013 alcuni di questi "musicisti", quasi tutti minorenni, furono arrestati proprio perché sospettati di aver commesso alcune di quelle rapine al semaforo. Mentre stavano al gabbio, per pura combinazione, gli assalti cessarono.

Orbene. A questo punto il solito sociologo piagnone farebbe partire i lacrimogeni del degrado, dell'emarginazione e della rabbia dei giovani che non hanno futuro nelle banlieue. Avete visto il film "La Haine", giusto? Ma questa interpretazione, come sempre, oltre a cristallizzare nell'irrisolvibilità del "non ci si può fare niente" il problema, perché nessun governo progressista ha mai eliminato borgate e banlieue, deresponsabilizza i criminali e in qualche modo riesce sempre a giustificarne le gesta attraverso l'applicazione del principio maternalista preso pari pari dal ragionamento delle mamme degli stupratori: "Mio figlio è un così bravo ragazzo, non ha fatto niente." Soprattutto se è nero.
E' lo stesso problema che hanno in America con i personaggi le cui vite contano che là si dedicano allo sport del tiro al poliziotto e che, quando cadono in battaglia, vengono chiamati "Dindu Nuffin", ovvero i "nonhofattoniente", perché così vengono regolarmente difesi dalle loro mamme, nonne, sorelle e zie facendo andare in bestia il mio amico Tommy Sotomayor, afroamericano fustigatore instancabile della subcultura mainstream rap e hip hop che, intrappolando i giovani neri nell'ideologia del culto del gangsta, li condanna ad un nuovo e più subdolo stato di sottomissione, ovvero li fa ripiombare nella schiavitù.
Ecco il problema globale del vero razzismo che vuole il nero, sia in USA che in Europa, prigioniero di una subcultura criminale imposta attraverso i media e il condizionamento culturale, retrocesso ad uno stadio di pre-civiltà, abbrutito come un orco al servizio di chi vuole utilizzarlo come essere umano a perdere per distruggere i suoi nemici assieme all'islamico per il quale è sufficiente rinfrescare il concetto di hijra, di conquista per migrazione.

E' facile a questo punto vedere il disegno criminale di chi, con la stessa mano, in America fomenta la divisione e l'odio razziale e in Europa continua a far arrivare migliaia di africani di dubbia origine ai quali potrà essere offerto solo di andare ad ingrossare l'esercito degli emarginati da trasformare, al momento opportuno, quando la consapevolezza di essere stati ingannati si trasformerà in odio contro i "bianchi", in casseurs. 
La prossima settimana inizierà lo sgombero definitivo della giungla di Calais. Anche qui non vi fanno vedere le immagini dei camion assaltati da veri e propri plotoni armati di bastoni. Non vi mostrano i camionisti che li stirano passandoci sopra. 




Gli attaccabrighe e agents provocateurs di Soros sono già pronti a dare battaglia nei prossimi giorni. I suoi media beleranno di poveri migranti e di poliziotti fascisti ma ancora una volta tocca dare ragione al profeta Pasolini. Io simpatizzerò con i poliziotti. 
Siete turbati? Pregate di non dover un giorno tifare per i militari.

giovedì 20 ottobre 2016

Renzi in da USAiii


Diciamo la verità. Sembrano una coppia di comici tipo Dumb&Dumber con appresso due amici en travesti, appena teletrasportati alla Casa Bianca e pronti a dare inizio alla serie delle torte in faccia.
Joe Biden il pedopolpo (altro che Trump) ci prova con Agnese: 
"Ma non capisci proprio niente, Osgood! Non sono un uomo, sono una donna!" 
Dimenticate però la splendida ironia del viennese Billy Wilder e pensate al fatto che questi quattro, in quel preciso momento, si stavano prendendo tremendamente sul serio. I due miracolati toscani con l'aria del "quando mai ci ricapita" e i dritti di Chicago Sugar Bing con la strafottente consapevolezza di aver fatto tutto il danno possibile negli ultimi otto anni ed andandone proprio tanto fieri. Pure a loro non ricapiterà più, del resto.

I giornali di regime stamane erano tutti un celebrare all'unisono la classe, l'eleganza, la porca figura fatta dal premier e dalla sua selezionata corte di "eccellenze italiane" aviotrasportate alla Casa Bianca per un ultimo bagno di subalternità di fronte ad un presidente che, se Dio vuole, tra poco smamma. Anzi, sbaracka.

Se vogliamo parlare di eleganza - fatemi intingere la penna nel veleno di black mamba - direi che sono stati tutti sfrontati nel credersi, avendo avuto il potere in subappalto dai loro padroni, in grado di poter anche indossare qualunque abito. Partendo dagli uomini vestiti da uomo, salverei solo Barack e non il burattino. Lo smoking, come sanno tutti, non perdona e, a giudicare dall'apnea, nemmeno il busto. Immagino Renzi se lo sia fatto tirare allo spasimo come Rossella O'Hara prima del ballo alle Dodici Querce.
Le donne vestite da donna che sembrano uomini vestiti da donna indossano abiti di haute couture strafirmati ma l'effetto è capodanno da H&M (with all respect). Bocciate tutte e due. Il tessuto metallico, quasi un prodigio alchemico del poro Versace, era destinato a fasciare i seni e i fianchi di eteree silfidi da passerella o al massimo di una bellezza statuaria alla Charlize Theron. Sul culone di Michelle l'effetto bottiglia magnum di spumante incartata nel cellophan natalizio è più devastante dei droni di suo marito.
Dal canto suo, Agnese guarda i gatti e i gatti dicono che essere magri è un ottimo punto di partenza ma non basta. Anche il pizzo non perdona e ci sono abiti e materiali che devono essere riservati alle dee sui cui corpi diventano non più moda ma architettura.

La divina Eva Riccobono

I giornali come Gramscì Hebdo hanno poetato molto sul glamour, sulla cronaca della cena, della visita nell'orticello del Petit Trianon di Michelle, dei complimenti sprecatisi da una parte e dall'altra, sul pietismo stracercato per le Cenerentole invitate al ballo, e se qualcuno ha osato criticare qualche scelta riguardo gli accompagnatori, ecco che è stato riesumato l'argomento dell'invidia. Invidia sociale, per giunta. Un argomento che, se ricordate, era tipico di Berlusconi e uno di quelli che faceva andare più in bestia gli antiberlusconiani. Identificazione con l'aggressore, direbbe il mio psicanalista.

Ricordiamo a questi comunistacci riunti (come il fu Cioni Mario) che, se qualcuno ha rievocato il viaggio di Craxi in Cina nel 1986, è solo perché furono quelli del PCI, a suo tempo, a chiedere addirittura una interrogazione parlamentare sui supposti sprechi di quel viaggio, compiuto da ben altro statista rispetto al fenomeno da Barack e dalla sua delegazione di idoletti viventi da adorare a prescindere.
Ho ritrovato un paio di articoli di Repubblica di quel 1986. Uno è di una firma assai illustre fa un certo effetto sgradevole postumo leggerlo.

Chi oggi manganella e ricina a mezzo stampa coloro che osano criticare certe scelte di rappresentanza dettate esclusivamente dal calcolo politico e probabilmente da agende sovranazionali (vedi la sindaca di Omaha Beach) sono culturalmente gli stessi che fecero la morale a Craxi sui nani e le ballerine e oggi vengono, nel senso di venire, già sui titoli di testa dei velleitari ed anestetici film di  Quentin Sorrentino. La sinistra dai Grundrisse alla Grande Bellezza.
"We saw, we came", parafrasando Hitlery. A proposito, spero che Matteo le abbia fatto gli auguri.






P.S. Si ride per non piangere.

sabato 15 ottobre 2016

Santippe va alla guerra



Commentando l'invio di truppe italiane in Lettonia a nostra insaputa, Giulietto Chiesa in un tweet ci ha ricordato quando Lenin disse che "la casalinga avrebbe potuto andare al governo". Alludeva al noto caso della professoressa Pinotti nominata Ministro Piddino della Difesa. Voi direte, ma se Bob Dylan è Nobel per la Letteratura perché una prof di italiano non potrebbe andare alle grandi manovre, nonostante il rischio di riecheggiare antichi fasti del cinema pecoreccio anni '70
Forse nemmeno Vladimir Iljich avrebbe però osato immaginare cinque inquantodonne cinque  piazzate alla Difesa in Europa, ovvero in un'area strategicamente già destinata dai globalisti ad essere perduta e per questo affidata - che credevate? - alle cure di queste facce da guerra. 

Guardatele quanto so' belle, e immaginatele con i ditini sul pulsante dei missili nucleari o impegnate in esercizi di alta strategia alla von Clausewitz. Anzi no, a quel punto arriverebbero i veri boss a dire alla Napoleonessa di turno: "ti dispiace andarci a preparare il caffé, tesoro?"
Non vi sentite anche voi più tranquilli, e soprattutto tranquille, sorelle, sapendo che la terza guerra mondiale, o quarta, ho perso il conto tra calde e fredde, sarà combattuta tra sindromi premestruali e caldane da menopausa? Per non parlare della pazza imperiale qui sopra, la Hitlery, che comanderebbe tutta la donnetteria a bacchetta assieme alla compagna di mutande Merkel. 


Perché non crederete mica che i globalisti mettano queste inquantodonne a comandare gli eserciti per femminismo e ginofilia, vero? Le mettono lì proprio perché, poverette, non avendone un'idea, perché sono programmate a causa del loro progressismo "naturalmente contro le guerre" e "per la pace nel mondo", materne ed accoglienti, sono utili perché non opporranno resistenza. E, se lo faranno, ciò avverrà con le conseguenze più sciagurate e disastrose possibili. Magari per dimostrare, di fronte ad una provocazione, che non hanno paura di arretrare di fronte alla prospettiva di scatenare una guerra, come farebbe un uomo.
La vera misoginia che risiede in questo ragionamento non è questa mia ma quella del globalismo, e mi piacerebbe che lo capiste.

Chiamatele ministre alla Resa, che rende meglio l'idea. Difesa, no. Cosa credete che sia questa angoscia da consapevolezza di essere indifesi che stiamo provando, la sensazione di non poter contare su nessuno che ci difenda? Si chiama passività, si chiama mancanza di, ohibò, virilità. L'Europa deve essere passiva e queste passive maschi e femmine che ci governano adempiono perfettamente al compito, irrorando maternalismo come fosse Agente Orange.
La passività uccide. L'incubo di Orwell, ad esempio, si è materializzato non alla Lubianka ma tra gli scaffali dell'IKEA. Non nel comunismo sovietico ma nell'apparentemente innocua socialdemocrazia svedese, attualmente la versione popputa, accogliente per lo straniero ma infanticida nei confronti dei propri piccoli, del peggiore totalitarismo novecentesco.
Lo si è visto anche in Germania con la Merkel, il residuato vivente della Stasi, che ha aperto le porte alle orde di stupratori, esortando pure le proprie concittadine a sopportare il sacrificio in nome di Mammona.
Sapete qual è inoltre il guaio della cancelliera, oltre al fatto di essere una burattinona ottusa del globalismo, che agisce da esso radiocomandata? Semplicemente non ha riconosciuto alla prima occhiata un esercito invasore.
Sarà un caso ma l'uomo Orban l'esercito nemico lo ha annusato subito ed ha agito di conseguenza.

I globalisti sono geniali, chapeau. Sanno che a queste cretine basta sventolare il ventottenne puccioso terzomondiale per far loro scattare l'istinto matrigno verso il nuovo figlio da prediligere a spese di quello reietto che hanno allevato smidollato, bamboccione ed emasculato secondo la campagna "castra un maschio e ti sentirai una vera donna". Con il neo cocco di Mutti le cretine commettono il classico errore femminile, ovvero pensare: "Quest'uomo riuscirò a cambiarlo", e si mettono in testa di insegnare l'educazione ai tonaconi wahabiti. Gli stessi che un giorno potrebbero avere in casa una bella collezione delle loro testoline al posto di quella di farfalle.

Non vorrei che si dimenticasse che, al contrario delle inquantodonne, vi sono donne che vogliono proteggere il proprio paese e la propria gente. Che vi sono donne che possono combattere in guerra, ed essendo molto coraggiose. Lo stanno dimostrando, come ultimo esempio recente, le siriane. In tutte le guerriglie e resistenze vi sono e vi sono state guerrigliere e partigiane valorose, ma qui si parla di guerra convenzionale, di esercito, marina e aviazione, di GUERRA MONDIALE. Si parla di strategia e stanno scegliendo le donne, anzi le peggiori donnette, proprio per farci perdere. 
Pensate a ciò che ha combinato la Clinton in Libia, con quel macello che la fa sempre scompisciare tanto. La cosa agghiacciante è la totale incoscienza di fronte al male, quel "siamo arrivati, abbiamo visto e lui è morto", che è la versione del classico materno: "t'ho fatto e ti disfo".
(P.S. Ma l'avete vista nel secondo dibattito con Trump? Ricordava il Pinguino di Batman.)

(L'ho già postato, lo so, ma è troppo bello)

La prima cosa tragica che deriva da questo fenomeno delle inquantodonne al potere è che proprio loro sono attualmente le peggiori guerrafondaie e, paradossalmente, gli uomini forti paiono quelli più portati alla possibilità di scongiurare il peggio attraverso il dialogo. Siamo a logica contro istinto, in pratica. La seconda è che non c'è una donna che si alzi a denunciare questa frode e quanto essa potrà danneggiare la questione femminile per la sua subdola misoginia. E, aggiungo, nessuna che denunci come questo sconcio avvenga nel campo che di solito si assegna al progressismo. Questo circolo globale della vampata, della lacrima facile, del damadisanvincenzismo dalla carità pelosa, sarebbe da bonificare, se fosse per me, con un bel rogo medioevale di streghe e stregoni e previa l'istituzione di un vero patriarcato di uomini con le palle che ripuliscano questo troiaio buonista agli estrogeni. 
Un periodo di sana cattiveria potrebbe essere l'unica chemioterapia, purtroppo, per tentare di salvare la nostra civiltà.

Ridete, ridete pure, bambolette alla Difesa (degli interessi delle banche), che se arriva il generale Sdrumaliev dovrete tornare, se non finisce a funghi, ad occuparvi al massimo dei contributi da pagare alla serva che vi spupazza i marmocchi e vi spiccia casa mentre voi giocate alla guerra sentendovi per questo parificate agli uomini. La guerra non è roba per carampane, vecchie o giovani.



Ringrazio @APallroundpics che ha sceneggiato il mio tweet più di successo di sempre: 294 RT. 
Che abbia colto il sentiment?

P.S. Leggetevi anche questo monumentale Fulvio Grimaldi.


mercoledì 12 ottobre 2016

Più la bugia è grossa e più un giorno scoppierà


Una breve riflessione su questa celebre foto, facente parte della documentazione ufficiale della Giornata dell'Ex Agente Bruciato, ovvero la cattura e uccisione [risate registrate] del dead operative walking  ed ex alleato in Afghanistan Osama Bin Laden.

Iniziamo dal set and setting. Non è la situation room ufficiale, quella che si vede in tutti i film ambientati alla Casa Bianca e dove Francis Underwood e Lady Claire Macbeth tessono le loro trame democrat in "House of Cards" ma è in pratica uno sgabuzzino. Come se, dal POTUS in giù, invece di celebrare nel luogo adeguato all'occasione le fasi salienti della grande e mirabolante operazione militare che avrebbe tolto di mezzo l'ormai inutile Bin Laden, sostituito dai nuovi personaggi dello spin-off di "Al  Qaeda", ovvero "Isis", i nostri eroi avessero sentito l'inspiegabile bisogno di nascondersi. 

Forse, direbbe qualche maligno*, perché si trattò di una delle più colossali montature messe in atto dalla cricca neocon, che è potuta passare per "verità storica" solo grazie alla complicità dei media asserviti (compresa la solita Hollywood reggimoccolo) che l'hanno acriticamente avallata e rivomitata come tale addosso all'opinione pubblica? Sono stati talmente bravi e noi così battilocchi che ci siamo perfino fidati sulla parola senza pretendere nemmeno un'immagine seria del cadavere (non quella smaccatamente falsa con il fantoccio) per non parlare di un certificato di morte, quando invece il Gheddafi scannato ce lo hanno impiattato e servito in grande stile.

Ecco, a proposito.



Già, Hillary. Analizziamo la comunicazione non verbale dei personaggi nella foto, ma soprattutto di due di loro: Hillary, appunto, e l'unico militare presente.
Mentre tutti hanno l'espressione neutra da previsioni del tempo, Hillary porta la mano alla bocca come se stesse guardando chissà quale meraviglia o mostruosità, e il militare tiene il capo chino sul laptop. In pratica è l'unico che non sta guardando lo schermo. Perché, se sono proprio i suoi uomini in quel momento in azione? 
E' una curiosa casualità che sia stato scelto proprio questo scatto per documentare ufficialmente la giornata, sì da farlo diventare foto storica. Lo scatto dove si vede un militare a capo chino e la candidata alla continuità impegnata in quella che potrebbe essere una manifestazione evidente e spudorata di mendacio, sempre secondo i maligni.
Questa è colei che dovrebbe sostituire Obama e portarci su Marte, se prima non si farà incenerire dai russi Con i giusti sceneggiatori e un aiutino da parte degli amici della CNN quella della "missione su Marte" potrebbero anche riuscire a farcela credere.

Have a nice trip.

* Sento già quelli che starnazzano "perché dovremmo credere a uno come Steve Pieczenick?" 
Per la stessa ragione per la quale dovremmo credere a Julian #escili Assange e Edward Snowden.

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